sabato 2 gennaio 2010

L'Evangelizzazione Contro la Trilogia dei Diavoli

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L’Evangelizzazione in Opposizione alla Trilogia dei Diavoli nella Chiesa: Trionfalismo, Clericalismo e Giuridicismo

Come possiamo evangelizzare oggi? Perché soltanto dieci percento degli Italiani frequentano la Chiesa regolarmente? Perché siamo così preoccupati dei problemi nella parrocchia, come la tensione fra la parrocchia e i movimenti ecclesiali, invece di essere più preoccupati della novanta percento delle persone che non frequentano la parrocchia? Ci sono tanti pesci nel mare! Il documento sui i nuovi movimenti religiosi (1986) ci suggerisce di guardare che cosa manca nelle parrocchie per non perdere più persone è di attirare nuove persone. Non è facile di auto-criticarsi per scoprire le cause dei problemi e le soluzioni. Ma la Chiesa è riuscita ad ascoltare le critiche e poi ad auto-criticarsi proprio nel Concilio Vaticano II. La Chiesa è arrivata ad un grande livello di maturità nel concilio. Ma questa maturità è arrivata ancora nelle diocesi e nelle parrocchie dopo quasi 50 anni?

Che Cosa Manca?
Che cosa manca nelle parrocchie che non attira gli altri o che cos’è la causa dell’allontanamento di tanti Cattolici? Che cosa possono fare i dieci percento nelle parrocchie e quelli nei movimenti ecclesiali per poter attirare il novanta percento delle persone che non frequentano la Chiesa? Forse possiamo scoprire ciò che manca nelle parrocchie guardando al Concilio Vaticano II. Uno dei interventi che ha colpito più fortemente all’inizio del concilio era quello di Vescovo de Smedt di Bruges, che ha attaccato il tono generale del primo bozzo dei documenti del concilio. Con coraggio lui ha criticato il trionfalismo[1], clericalismo e giuridicismo nella Chiesa. Dopo il suo intervento, i padri conciliari “hanno rifiutato la schema Sulle Fonte di Rivelazione, e sono tornati a casa determinati (si sperava) di distruggere per sempre l’immagine della Chiesa dominata dalla trilogia dei diavoli che Vescovo de Smedt di Bruges ha nominato apertamente come trionfalismo, clericalismo e giuridicismo. Questo era uno dei discorsi classici del concilio e che sarà ricordato più che molte parole nella maggioranza dei decreti.”[2]

Ci sono ancora questi tre diavoli nelle nostre diocesi e nelle nostre parrocchie? Io credo di si. Penso che questi tre diavoli prendono tante forme nelle diocesi e nelle parrocchie. Quante volte ci sono persone che abitano nella parrocchia e vogliono partecipare e servire nella parrocchia ma non c’è tanto ascolto vero o accoglienza da parte del parroco e dei altri presenti nella parrocchia e così queste persone si allontanano dalla parrocchia e si brontolano con gli altri e si prestano le loro energie da un altra parte. Tante volte manca la capacità di rapportarsi dalla parte dei responsabili nelle parrocchie e così i rapporti con i responsabili sono in un certo modo espressione di diffidenza verso gli altri. C’è spesso un atteggiamento di saper tutto dalla parte dei responsabili e così non c’è interessamento degli opinioni degli altri, anche se si lascia gli altri parlare o sfogare; il programma è già fatto. Tante persone, sopratutto quelle più sensibili e intelligenti, sentono quest’atteggiamento soffocante e umiliante. Il programma è più importante delle persone. Quanti preti e laici sanno parlare di Dio e del Vangelo e della teologia e del “kerigma” e di amore e della comunità ma in pratica non si rendono conto che non vivono ciò che dicono e così si allontanano tante persone dalle parrocchie. Quante sacerdoti e laici non sanno o non hanno la pazienza di attirare gli altri verso Dio liberamente con il loro esempio e così cercano di sfruttare le loro posizioni nelle strutture della Chiesa o dei movimenti ecclesiali per costringere e forzare gli altri di fare la volontà dei responsabili? Questi responsabili insicuri cercano di mantenere una pompa magna e un’aria e distanza di autorità sopra gli altri nel loro piccolo regno. Ha fatto così Gesù? I responsabili immaturi vogliono intorno a se soltanto quelli che fanno esattamente la volontà dei responsabili senza chiedere spiegazione e senza criticare neanche in un modo costruttivo; gli altri si lasciano andare via o si mandano loro via. È così non ci sono persone nella parrocchia che possono esprimere il problema fondamentale al parroco o altri responsabili chiusi nel loro piccolo regno. Forse siamo troppo comodi e compiaciuti nel nostro piccolo regno, come il nostro “club” speciale. La parrocchia o una congregazione religiosa o un movimento ecclesiale esiste per soddisfare il parroco e qualche responsabile o per evangelizzare e servire tutto il popolo di Dio? Forse è più sbrigativo di comandare, ma i frutti durano quando si fa così? Se i genitori attirano liberamente i loro figli a Dio, sopratutto con il loro esempio, i frutti durano! Speso i responsabili hanno paura di perdere o cambiare i loro programmi e così non comunicano l’informazione necessaria per aiutare gli altri ad entrare nella decisione; non sono trasparenti, non mettono le carte sulla tavola. Gesù non ha fatto così con i suoi più impegnati, cioè, gli apostoli (Gv. 15,15)! Anni fa molti adulti e giovani sopportavano questo tipo di comportamento. Ma oggi??? Credo che qualcosa non funziona nelle parrocchie altrimenti le chiese sarebbero molto più affollate oggi.

Dio non costringe mai una persona di fare la Sua volontà! Mai! La Chiesa insiste che non possiamo mai costringere le persone (VCII, AGD, 13). Quando i laici scoprono che il parroco è abitualmente attaccato alle sue idee, e sfruttano gli incontri, come il Consilio Parrocchiale, soltanto per convincere e motivare gli altri di mettere in pratica le sue idee già decise, le persone più in gamba e intelligenti vanno via perché non sono trattate come persone intelligenti o attendibili. Si sente di lavorare nella parrocchia per il regno del parroco invece per il regno di Dio, insieme come “nostra parrocchia”. Quanti giovani entrano nel seminario per essere una persona importante, come percepiscono i parroci, e così finiscono, nel loro turno, di imitare i parroci autoritari che sfruttano la parrocchia per il loro elogio invece per la gloria di Dio? “Il male che più di ogni altro devono evitare quelli che pascono le pecore di Cristo, è quello di ricercare i propri interessi invece di quelli di Gesù Cristo, asservendo alle loro brame coloro per cui fu versato il sangue di lui” (sant’Agostino, il 6 dicembre nel breviario). Quanti laici entrano nelle parrocchie o nei movimenti ecclesiali per avere un pezzo di questa gloria per se stessi invece per il motivo di servire gli altri in umiltà? O quanti laici entrano nelle parrocchie o nei movimenti ecclesiali con motivi buoni e dopo cercano una posizione più alto per comandare e dominare gli altri? Quanti sacerdoti e laici e responsabili nei movimenti ecclesiali (o perfino superiori nelle congregazioni religiose) non hanno mai imparato di farsi uno o immedesimarsi con gli altri o mettersi nei panni degli altri, dimenticando se stessi, e così sanno soltanto costringere o forzare gli altri? Gesù ha detto agli apostoli di non dominare su gli altri “come fanno i capi delle nazioni e i grandi” (Mt. 20,25-28; Lc. 22,26). Chi comanda, non ama. Quanti responsabili decidono tutto da solo e non dicono mai al altro: “Che pensi tu?” “Che te ne pari di questo proposito o di quest’idea?” Non si può avere Gesù in mezzo da solo; ci vuole almeno due (Mt. 18:20)! In somma, quello che spesso manca nelle diocesi e nelle parrocchie e nei movimenti ecclesiali è soprattutto e nelle comunità religiose è amore e umiltà nel senso vero delle parole, nel senso cristiano. I santi ci dicono che senza umiltà non c’è virtù! Gesù ha avvertito i suoi discepoli: “Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia!” (Lc 12,1)

Non soltanto la nostra natura umana caduta contribuisce al problema ma sfortunatamente un grande numero dei responsabili nel mondo civile e nel mondo ecclesiastico non hanno mai ricevuto una formazione basata sulla libertà dei figli di Dio (Rm 8,21; Gal 5,1; Gc 1,25). E allora non sanno offrire o dare ciò che non possiedono. Questo tipo di formazione e mancanza di un’atmosfera di una famiglia o comunità fiduciosa e affettuosa finisce in una insicurezza fondamentale che rende difficile per quelli formati così in questa struttura rigida di aprirsi con fiducia, amore e umiltà soprattutto quando sono affrontati dai altri che non pensano come loro. Quando queste persone sono in un ambiente molto strutturato e circondate da quelle che fanno esattamente la loro volontà senza domande, riescono meglio di uscire dal loro guscio e perfino di amare un po’.

Anche spesso le persone insicure cercano le posizioni di autorità e di stima (e le sicurezze false come i soldi e il potere) che perpetua questo tipo di clericalismo negativo nelle strutture della Chiesa e nelle strutture della società. Quelli che non hanno questo problema di insicurezza normalmente non hanno un desiderio di cercare queste posizioni e titoli di autorità e prestigio. Anche molto spesso quelli che offrono la critica costruttiva a questi superiori insicuri sono mandati via, e quindi le congregazioni religiosi o i movimenti ecclesiali non si migliorano o non si maturano ma continuano in questo tipo di chiusura. Quindi senza questa base di libertà, questi che mancano questa maturità si ricorrono naturalmente a forzare, costringere, manipolare e perfino minacciare quelli sotto di loro di fare la loro volontà e di implementare i loro programmi. Ma che cosa è più importante, la persona o il programma? C’è qualcuno che piace di essere costretto, forzato o manipolato di entrare con i Testimoni di Geova, o con qualsiasi gruppo, anche la Chiesa Cattolica, o un movimento ecclesiale? Il proselitismo non è carità! Quanti responsabili nel mondo civile, come anche nella Chiesa, con questa mancanza di formazione nella libertà dei figli di Dio, non riescono più a coltivare la gioventù oggi? I responsabili non sanno attirare liberamente la gioventù soprattutto con il loro esempio di amore vero nella libertà di Dio. Questi responsabili insicuri non sanno farsi uno con i giovani, non sanno mettersi nei panni dei giovani e quindi non sanno scoprire INSIEME la volontà di Dio per ogni persona. Dopo che questi piccoli dittatori hanno soffocato la vita dei gruppi che sono sotto di loro, cercano di manipolare e costringere sotto il loro controllo, i gruppi che prosperano basati sulla libertà, e poi si finisce di distruggere anche questi gruppi; e.g., Mussolini ha tolto la libertà dai Scout in Italia e ha forzato loro di servire i suoi scopi durante la seconda guerra mondiale, come ha fatto Hitler e tutti i dittatori. Molti superiori insicuri ci farebbero credere che soltanto i sudici possono rompere o distruggere l’unità. Ma che tipo di unità stiamo parlando, un unità come quella creata da Hitler o Stalin, o l’unità per cui Gesù ha pregato durante l’ultima cena (Gv 17,21)? Questi responsabili sentono che loro, e loro soli, hanno un contato diretto con lo Spirito Santo? Come un Cattolico, ho pensato che soltanto il Papa ha questa promessa di Gesù Cristo di essere la roccia sul quale Gesù ha fondato la sua Chiesa e che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18)! Ogni essere umano è stato creato nell’immagine e somiglianza di Dio e quindi libero di scegliere di “vivere secondo la carne” o “mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13; 1Pet 2,16). Quindi ogni essere umano desidera di scoprire e di essere attirato liberamente alla felicità vera che si può trovare nel piano e disegno perfetto di Dio per ogni persona. È molto più facile e espediente di comandare e regnare dalle nostre cattedre piuttosto di abbassarci e andare alle persone individualmente e scoprire insieme la volontà di Gesù fra due o tre riuniti nel suo nome (Mt 18,20). “Dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2Cor 3,17).

Purtroppo anche quando il parroco è maturo e sa perdere, ci saranno sempre persone nella parrocchia, non mature, che accuseranno il parroco di non ascoltare loro nonostante che il parroco ha veramente espresso ciò che Gesù, presente fra coloro che si amano (Mt. 18:20), ha voluto in quel occasione e in quella situazione; le persone di buona volontà intuiscono questo. Ci saranno sempre quelli che non vogliono imparare a staccarsi dalle loro idee o dalla loro "posizione di onore" (o di commando) come nel mondo e anche purtroppo nella Chiesa. Proprio per questo motivo, tanti parroci non fanno questo rischio di lasciare i laici ad entrare nelle decisioni, così dopo i laici non devono staccarsi da qualcosa che non vogliono perdere. Però se non facciamo questo rischio non facciamo un cammino di maturità e di carità insieme e ci saranno pochissimi (o niente) frutti che durano, e ci saranno sempre meno persone nelle parrocchie. Credo che è meglio fare le cose insieme meno perfetto, con più pazienza, che da solo perfettamente e più sbrigativo.

Questa tendenza e debolezza umana di dominare è sempre presente nel mondo e nella Chiesa. Durante l’omelia di sua Abbiamo la nostra natura umana contaminato dal Peccato Originale. Santità Benedetto XVI al Concistoro Ordinario Pubblico per la Creazione di Nuovi Cardinali (24-11-2007) ha detto ai 23 nuovi cardinali: “La vera grandezza cristiana, infatti, non consiste nel dominare, ma nel servire. Gesù ripete quest’oggi a ciascuno di noi che Egli «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc. 10,45). Ecco l’ideale che deve orientare il vostro servizio. Cari Fratelli, entrando a far parte del Collegio dei Cardinali, il Signore vi chiede e vi affida il servizio dell’amore: amore per Dio, amore per la sua Chiesa, amore per i fratelli con una dedizione massima ed incondizionata, usque ad sanguinis effusionem, come recita la formula per l’imposizione della berretta e come mostra il colore rosso degli abiti che indossate.”

Prima del Concilio la Chiesa era concepita in modo piramidale – il Papa, i Vescovi, i preti e il popolo – e il Concilio ha fatto un rovesciamento, e lo ha fatto nella costituzione Lumen Gentium mettendo nel secondo capitolo al vertice il popolo e sotto il popolo, al servizio del popolo, i preti, i Vescovi e il Papa Servo dei servi di Dio.

Anche Cardinale Ratzinger ha esortato i Vescovi di “farsi uno”!
Il Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, svoltosi a Roma nel 1998, venne inaugurato da un’importante relazione dell’allora cardinale Ratzinger. In quella relazione Ratzinger, dopo aver esortato i movimenti a evitare unilateralità e assolutizzazioni, si era rivolto anche ai Vescovi, ricordando «che non è loro consentito indulgere ad alcuna pretesa d’uniformità assoluta nella organizzazione e nella programmazione pastorale. Non possono far assurgere i loro progetti pastorali a pietra di quel che allo Spirito Santo è consentito operare: di fronte a mere progettazioni umane può accadere che le Chiese si rendano impenetrabili allo Spirito di Dio, alla forza di cui esse vivono. Non è lecito pretendere che tutto debba inserirsi in una determinata organizzazione dell’unità: meglio meno organizzazione e più Spirito Santo!»

Il discorso di Giovanni Paolo II, ai Vescovi della Conferenza Episcopale delle Antille (Francia), in Visita "Ad Limina Apostolorum", 7 Maggio 2002 (http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/2002/may/documents/hf_jp-ii_spe_20020507_antille-ad-limina_it.html):
“L'impegno dei laici diviene una forma di clericalismo quando i ruoli sacramentali o liturgici che spettano al sacerdote vengono assunti da fedeli laici o quando questi iniziano a svolgere compiti che competono al governo pastorale proprio del sacerdote. In simili situazioni, ciò che il Concilio ha insegnato sul carattere essenzialmente secolare della vocazione laica viene spesso trascurato (cfr Lumen gentium, n. 31). È il sacerdote, in quanto ministro ordinato, che, a nome di Cristo, presiede la comunità cristiana, sul piano liturgico e su quello pastorale. I Laici l'assistono in diversi modi in questo compito. Tuttavia, il principale ambito dell'esercizio della vocazione laicale è il mondo delle realtà economiche, sociali, politiche e culturali. È in questo mondo che i laici sono invitati a vivere la loro vocazione battesimale, non come consumatori passivi, ma come membri attivi della grande opera che esprime il carattere cristiano. Spetta al sacerdote presiedere la comunità cristiana al fine di permettere ai laici di svolgere il compito ecclesiale e missionario che corrisponde loro. In un'epoca di secolarizzazione insidiosa, può apparire strano che la Chiesa insista tanto sulla vocazione secolare dei laici. Ora, è proprio la testimonianza evangelica dei fedeli nel mondo ad essere al centro della risposta della Chiesa al malessere della secolarizzazione (cfr Ecclesia in America, n. 44).”
“L'impegno dei laici è politicizzato quando il laicato è assorbito dall'esercizio del "potere" all'interno della Chiesa. Ciò avviene quando la Chiesa non è vista in termini del "mistero" di grazia che la caratterizza, ma in termini sociologici o persino politici, spesso sulla base di una comprensione errata della nozione di "popolo di Dio", una nozione che possiede profonde e ricche basi bibliche e che è stata così ben utilizzata dal Concilio Vaticano II. Quando non è il servizio ma il potere a modellare ogni forma di governo nella Chiesa, sia nel clero sia nel laicato, gli interessi opposti cominciano a farsi sentire. Il clericalismo è per i sacerdoti quella forma di governo che proviene più dal potere che dal servizio, e che genera sempre antagonismi fra i sacerdoti e il popolo; tale clericalismo si ritrova in forme di guida laicale che non tengono sufficientemente conto della natura trascendentale e sacramentale della Chiesa, come pure del suo ruolo nel mondo. Questi due atteggiamenti sono nocivi. Al contrario, ciò di cui la Chiesa ha bisogno è di un senso della complementarità fra la vocazione del sacerdote e quella dei laici che sia più profondo e più creativo. Senza di ciò, non possiamo sperare di restare fedeli agli insegnamenti del Concilio né di superare le abituali difficoltà riguardanti l'identità del sacerdote, la fiducia in lui e la chiamata al sacerdozio.”

Un superiore in qualsiasi tipo di gruppo può fallire immaginando la comunità di esistere per lui e non al contrario, cioè, che lui è il “ministro e servo di tutti.” E così procede le maniere signorili, dispotico, preferenze, e tutto quello che fa un superiore un ufficiale freddo invece di un padre caloroso e amoroso in Cristo, pronto di perdonare e di dimenticare, compassionevole per la debolezza umana, grande e gioviale verso tutti. Spesso da autoritarismo eccessivo, l’immaturità è attualmente promossa; questo non è di Dio. Quando questo succede in una parrocchia o in qualsiasi gruppo in cui i membri non sono costretti di rimanere con un voto di obbedienza, normalmente si parte.


Come Possiamo Evangelizzare Meglio?
Credo che ci sono tante persone di buona volontà che abitano nelle parrocchie che non partecipano nelle parrocchie. Che cosa possiamo fare per superare le difficoltà fondamentali, indicati sopra, per poter evangelizzare meglio? Credo che per tanti parroci e persone nelle parrocchie e nei movimenti ecclesiali e nelle congregazioni religiosi, ci vuole una vera conversione di 180 gradi che è molto difficile perché non si rendono conto del bisogno della conversione; si sentono a posto. Dobbiamo pregare soprattutto per umiltà e carità vera. Dobbiamo diminuire, così ognuno può rendersi conto che non ha tutte le soluzioni in mano e che dobbiamo scoprire la volontà di Gesù insieme ogni volta che c’è da decidere qualcosa importante nella parrocchia. Se il parroco e gli altri impegnati della parrocchia sono capaci di staccarsi dalle loro idee e propositi per poter ascoltare bene le altre persone, c’è una buona possibilità di discernere e scoprire la volontà di Gesù per ogni situazione e problema. In questo modo tutti sentono bene di aver contribuito e scoperto insieme la volontà di Gesù, non imposto dall’alto, e così si lavora con più entusiasmo e energia. Il parroco diventa l’alto parlante della volontà di Gesù fra loro (Mt. 18:20) invece soltanto delle sue idee! Si sente la differenza! Si sente di fare la volontà di Gesù in mezzo invece la volontà del responsabile nonostante che il responsabile (il parroco, il catechista, ecc.) deve esprimere la decisione. È una bella esperienza! Non è questo il modo di essere umile e caritatevole?

È difficile e lungo nel fare questo cammino di maturità con i più impegnati della parrocchia; però, in questo modo, i frutti durano. Pian piano, i laici scoprono che sono veramente coinvolti nelle decisioni della parrocchia, e così altri vengono, quelli di buona volontà che non cercano un posto di commando o di onore ma di servizio nel senso vero come Gesù ha detto agli apostoli (Mt. 20,25-28). La parrocchia appartiene a tutti, non soltanto al parroco o alle famiglie più influenti o a quelle che vogliono mettersi avanti a tutti con uno spirito critico e autoritario, pronte sempre a giudicare. Non è questo il modo di avere la presenza di Gesù fra noi (Mt. 18:20) nella parrocchia così è veramente Gesù in mezzo che porta avanti e fa crescere la parrocchia invece di un parroco da solo o qualche persona che vuole controllare la parrocchia? Non era questo il segreto dei primi cristiani che si amavano fra loro (At 4,32; 2,42-47)? Non è questo il modo di costruire sulla roccia invece sulla sabbia (Mt. 7,26-27)? Se non c’è questa abitudine di perdere o di umiltà o di staccarsi dai propri interessi dalla parte del parroco o del responsabile, non c’è Gesù in mezzo, ma invece c’è il parroco o il responsabile in mezzo e nient’altro. Gesù in mezzo è veramente una presenza efficace di Gesù che non viene automaticamente ma bisogno meritare questa presenza speciale, amando reciprocamente insieme come Gesù ci ha amati fino alla morte; questo è ciò che significa “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. 18:20)!

Chiara Lubich ha detto (Convegno Ecumenico di ortodossi; 30/03/89) che in un piccolo gruppo di consacrati con un superiore, “non si deve vedere chi è il superiore. Perché tutti voi siete fratelli. E c’è un responsabile, ma deve agire in maniera tale che il comando sia nella carità. Cioè, prima ama quello, lo ama da morire. E poi su quest’amore bisognerebbe andare li e fare, cosa ti pare?” L’altro si sente amato. Si stabilisce la presenza di Gesù in mezzo. L’altro non sente più che quello li che mi comanda, ma che è la volontà di Dio. È logico. È Gesù in mezzo che lo chiede, e lo fa. Ma non obbedisce in modo, come si dice, con muso lungo e va via, ecc. E’ contento perché lui va a fare la volontà di Dio, non tanto la volontà ne sua ne di un uomo. Tutta la carità informa. Tutto informa la carità!”

I santi hanno avuto una grande umiltà e vuoto di fronte alle altre persone. Allora erano capaci di farsi uno o immedesimarsi con gli altri o mettersi nei panni degli altri. Poi con tanta pazienza hanno aspettato per l’altro di rispondere a questo amore e umiltà nel loro turno, in modo simile, per avere la presenza di Gesù in mezzo che li illumina al riguardo della volontà di Dio in una situazione particolare. Certamente noi, che non siamo santi, con poco umiltà e vuoto di fronte agli altri, siamo molto lento e poco disposti di perfino cominciare di farsi uno o immedesimarsi con gli altri o mettersi nei panni degli altri, perché abbiamo così poca umiltà. Senza l’umiltà, non c’è virtù di qualsiasi tipo. Quindi non c’è neanche la fondazione o possibilità di avere Gesù in mezzo che ci illumina e ci guida. I santi che erano strumenti di Dio per portare alla terra i grandi carismi hanno avuto grande umiltà e quindi hanno rispettato la libertà degli altri (come fa Dio sempre). Così tanti seguaci di questi fondatori, invece, non rispettano la libertà di quelli che sono sotto loro e cercano di manipolare, costringere e forzare gli altri di fare il loro “grande programma”.

Quando ho incontrato Papa Giovanni Paolo II per la seconda volta, la cosa che mi ha più colpito era che la sua attenzione per me mi ha dato l’impressione che per lui, in quel momento, io fosse l’unica persona nel mondo che esisteva nonostante che lui aveva tanta responsabilità e cose da fare. Quante volte quest’umiltà, questo vuoto di fronte agli altri, questa capacità di farsi uno con gli altro e questa pazienza mancano e così noi superiori finiamo di forzare, spingere e manipolare gli altri di fare la nostra volontà. Quante persone sono state allontanate dalla Chiesa o dai movimenti ecclesiali a causa di questa mancanza di umiltà e carità mentre imponevamo il nostro programma sugli altri nel nome di Dio o nel nome di unità? Non è questa differenza fra la maggioranza di noi e i santi simile alla differenza fra il socialismo vissuto dai primi Cristiani, che hanno dato i loro beni LIBERAMENTE per amare gli altri, a il socialismo dei nostri dittatori moderni che COSTRINGONO la gente di rinunciare i loro beni e la loro proprietà?!?

Ci sono tante persone nei movimenti ecclesiali e nelle congregazioni religiosi che, sfortunatamente, non vivono le loro carismi rispettivi ma spesso finiscono, almeno, di servire come canali dei carismi che arrivano agli altri di buona volontà che fruttificano questi doni preziosi da Dio. “E non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre” (Mt 3,9; Lc 3,8).

San Pietro esorta gli anziani a “pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,2-3).

È vero che la Chiesa non è una democrazia. Nella parrocchia il parroco deve esprimere le decisioni se lui è maturo, cioè, staccato dalle sue idee ascoltando bene i più impegnati nella parrocchia, o se lui non è maturo, cioè, abitualmente attaccato ai sui programmi senza invitare o prendere in considerazione ciò che i più impegnati della parrocchia dicono. Inoltre è molto importante per i vescovi e i sacerdoti, in unione con il Papa, di proclamare con coraggio e chiarezza tutte le verità proclamate dalla Chiesa che includono anche quelle che riguardano i comportamenti morali; bisogna anche mantenere una grande reverenza per i sacramenti e per il culto di Dio. “Cristo vi domanda di confessare davanti agli uomini la sua verità” (Benedetto XVI ai nuovi cardinali, 24-11-2007).

Però la grande maggioranza delle decisioni nelle parrocchie non sono una questione di verità ma piuttosto delle cose pratiche. Se non trattiamo gli adulti come adulti, con il nostro esempio di maturità vera, le chiese si svuoteranno ancora di più mentre soffochiamo la vita della parrocchia che ancora c'è. La parrocchia non dev’essere un campo militare ma dev’essere una famiglia con Gesù in mezzo che genera i veri frutti. La Chiesa ha sempre mantenuto il principio di sussidiarità. Sussidiarità è il principio organizzativo che le cose devono essere gestite dall’autorità competente più piccola, più basa o meno centralizzata. Il dizionario Oxford inglese definisce subsidiarità come l’idea che un’autorità centrale deve avere una funzione sussidiare, facendo soltanto quei compiti che non possono essere eseguiti efficacemente ad un livello più immediato o locale.

I santi Cirillo monaco e Metodio vescovo ci hanno dato un bel esempio, tanti secoli fa, di questo modello di farsi uno con gli altri, che si può chiamare inculturazzione. Uno dei compiti più importante di un buon parroco nella parrocchia è di incoraggiare e proteggere gli agnelli (cioè, gli umili che vogliono servire) dai lupi (quelli che vogliono dominare e sfruttare la parrocchia per la loro gloria). Con il buon esempio del vescovo, i sacerdoti e seminaristi avranno un modello dal alto da seguire e da imitare, come dev’essere nelle parrocchie.

Nessuno è nato santo. Se il responsabile, anche con tanta energia ed entusiasmo e motivi apparentemente buoni, non è maturo e non vive veramente lui il Vangelo soprattutto nel amare il prossimo come se stesso, è presuntuoso di presumere che i sudditi sono già arrivati ad uno stato di maturità e santità abbastanza alta di superare questa situazione oppressiva di essere costretto di implementare il programma del responsabile o di essere capaci di abbracciare e di accettare questa sofferenza e dolore in unione con Gesù crocifisso senza cadere nella depressione. Ci vuole tempo, grazia e tanta buona volontà per arrivare a questo stato di maturità e di santità. Per questo è molto importante di scegliere e trovare responsabili cristiani maturi per dare un esempio di umiltà e carità e anche la capacità di attirare e condurre altri a Dio e le virtù liberamente con tanta pazienza e senza forzare o costringere in nessun modo. Bisogna condurre gli altri prima e soprattutto con un vero esempio cristiano; le parole servono soltanto per descrivere l’esempio, la vita vissuta. Una delle citazioni più conosciuta di San Francesco di Assisi è: “Predicate il Vangelo; se sia necessario, usate parole.” Si può tirare facilmente la corda ma se si spinge la corda si stropiccia.

Gesù, mite e umile di cuore (Mt. 11,29), è venuto per servire (Mt. 20:28). Ci vuole una certa maturità cristiana da tutti coinvolti, che richiede tempo e pazienza. Però credo che questo cammino di maturità è una chiave fondamentale per la “nuova evangelizzazione.” È proprio questo cammino di maturità che ci fa santi insieme nelle parrocchie e che produce i frutti veri e duraturi! Dobbiamo fare questo cammino di maturità con tanta pazienza, umiltà e amore. Come ha detto il vescovo di Trento, il mondo ha già sentito tante cose di Cristo; per ri-evangelizzare il mondo questa volta, dovremo prima “essere” cristiani e poi parlare di Cristo.

Sant’Antonio di Padova ha scritto: “La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico; in cui non trovò frutto, ma solo foglie. “Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica.” Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina (Ufficio delle letture, 13 giugno).

Rev. Joseph Dwight

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[1] “Il molteplice attacco Cattolico contro trionfalismo va in sintonia con un desiderio di sostenere la spiritualità della Chiesa. Questo è uno dei elementi essenziali del nuovo modo ecclesiologico di pensare apparente al concilio. Il concilio non voleva nessun nuovo dogma, nessuna nuova definizione della Chiesa che clarificherebbe tutto. Invece, con la gerarchia in mente in un modo molto esistenziale, era una chiamata all’umiltà completa e totale. Il concilio stava dicendo alla Chiesa a ricordare che Lei segue il Signore che è venuto non per essere servito ma per servire” (Mc 10:45); G. C. Berkouwer, The Second Vatican Council and the New Catholicism (Eerdmans, Grand Rapids, 1965), p. 184.
[2] Bernard C. Pawley, ed., The Second Vatican Council (Studies by eight Anglican Observers) (Oxford University Press, London, 1967), p. 114. Vedi anche: Floyd Anderson, ed., Council Daybook - Vatican II (Session 1, Oct. 11 to Dec. 8, 1962, Session 2, Sept. 29 to Dec 4, 1963) (National Catholic Welfare Conference (Pub.), Washington, D.C., 1965), p. 275. Vedi anche: www.strategicboard.com/index.php?s=VESCOVO; www.unavox.it/doc89.htm.

La Speranza del Mondo!

La Speranza del Mondo!

Oggi ci sono tanti problemi nel mondo. Basta accendere il TV ed ascoltare il telegiornale per vedere che il mondo sta male. I paesi del mondo e anche le Nazioni Uniti propongono le loro soluzioni, ma sembra che le cose vanno sempre peggio nonostante tutte le proposte e sanzioni. Dobbiamo perdere la speranza e andare in un bunker ed aspettare per la terza guerra mondiale o la seconda venuta di Gesù Cristo? C’è qualcosa concreta che ognuno di noi possiamo fare per far parte della soluzione invece del problema?

Che cosa possiamo noi Cristiani offrire al mondo come una soluzione per i problemi più fondamentali? Chi è più potente, Gesù o Satana? Gesù ci ha lasciato una chiave per ognuno di noi per poter contribuire alle soluzioni dei problemi più difficili oggi?

La Chiesa Primitiva
Che cosa c’era fra i primi Cristiani che ha attirato tanti pagani alla nuova comunità Cristiana? Che cosa mancava fra i pagani che l’invidiavano fra i Cristiani? Gesù all’ultima cena con i suoi amici, prima di partire da questo mondo, il momento più solenne per consegnare l’ultima volontà, quasi un testamento ha detto: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri". Sarà questa, lungo i secoli, la caratteristica dei discepoli di Gesù che consentirà di identificarli: da questo tutti li riconosceranno! (Gv 13,34-35)

Fu così fin dall’inizio. La prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, godeva la stima e la simpatia di tutto il popolo proprio per la sua unità, al punto che ogni giorno nuove persone si univano ad essa. Anche pochi anni più tardi Tertulliano, uno dei primi scrittori cristiani, riportava quanto si andava dicendo dei cristiani: "Vedi come si amano tra loro, e come sono pronti a morire l’uno per l’altro". Era l’avverarsi delle parole di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). “Nel tempo degli apostoli ... c'era qualcosa in quelle assemblee che oggi noi non realizziamo più, almeno ordinariamente. C'erano l'amore fraterno e la gioia. Quelli che si riunivano avevano tutto in comune, non solo "il cuore e l'anima", ma anche i bisogni, i beni, i pasti (At 2,42-47; 4,32). Realizzavano una vera comunione fraterna e per ciò stesso erano nella gioia” (Cantalamessa, Vol A, p. 101). Non era “una comunità qualsiasi, puramente convenzionale e giuridica, come sono tante parrocchie e perfino tante comunità religiose” (Cantalamessa, Vol C, p. 156). Il loro amore non era come quello fra i pagani; c’era qualcosa molto speciale!

La Presenza Efficace di Gesù
E che cos’era questa cosa speciale che attiravano i pagani? Non era proprio la presenza, piena e efficace, di Gesù in mezzo fra coloro che si amano? Come possiamo avere questa presenza di Gesù come i primi cristiani? "Riuniti nel mio nome" (Mt 18,20): cosa significa esattamente? Già i Padri della Chiesa, nei primi secoli, se lo sono chiesti ripetutamente, offrendo risposte diverse, ma convergenti. Basilio il Grande dice: "Coloro che si riuniscono nel nome di qualcuno, devono conoscere bene la volontà di chi li riunisce e conformarsi ad essa". Giovanni Crisostomo mette sulle labbra di Gesù questa spiegazione: "Se qualcuno mi tiene come causa del suo amore verso il prossimo, io sarò con lui." Per Teodoro Studita ci vuole l'amore reciproco. Origene parla dell'accordo di pensiero e di sentimenti, della concordia che unisce e contiene il Figlio di Dio. Nell'insegnamento di Gesù c'è la chiave per far sì che Dio abiti fra noi: "Amatevi l'un l'altro come io ho amato voi" (Gv 13,34; 15,12). È l'amore reciproco la chiave della presenza di Dio. "Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi" (1Gv 4,12) perché: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20), dice Gesù.. In sintesi possiamo dire che Gesù è presente dove si realizza la più genuina volontà del Padre, cioè l'amore reciproco, in cui si è pronti a dare la vita l'uno per l'altro.

Nella comunità dunque, la cui profonda vita è l'amore reciproco, Gesù può rimanere efficacemente presente. E attraverso la comunità Gesù può rivelarsi al mondo, può continuare ad influire sul mondo. Gesù ci dice: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Se vogliamo dunque cercare il vero segno di autenticità dei discepoli di Cristo, se vogliamo conoscere il loro distintivo, dobbiamo individuarlo nell'amore reciproco vissuto.

Nel passato l'attenzione si era sempre concentrata sulle altre "presenze" di Gesù: nell'Eucaristia, nel Magistero, nel sacerdote che celebra i sacramenti, nel fratello povero, ecc., ma anche questa presenza non è meno sicura e autentica: ci è attestata dalla parola stessa di Gesù. Di fatto, quando c'è l'amore vicendevole, sopraccennato, si entra davvero in una realtà nuova, non solo umana, ma anche divina. Tutto ne viene trasformato. Si respira nell'aria "un non so che" per cui viene da dire: "Che bello, come si sta bene". Un'atmosfera bellissima, che si vorrebbe non finisse mai. Chiunque abbia un minimo di sensibilità spirituale ne rimane segnato, anche se non sa spiegarlo a parole. È in effetti un pregustare qualcosa della gioia del Paradiso, dove Gesù è tutta la nostra delizia, piena e definitiva.

È un dono troppo grande che non vogliamo sprecare. Ed è a portata di mano, possibile sempre in qualunque luogo della terra. La strada è semplice e chiara: mettere in pratica il comandamento nuovo: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato.”

Le Qualità dell’Amore Cristiano
Questo amore di Gesù però non è un amore comune, non una semplice amicizia, non la sola filantropia, ma quell'amore che e versato sin dal battesimo nei nostri cuori, quell'amore che è la vita di Dio stesso, della Trinità beata, al quale noi possiamo partecipare.

Dunque l'amore e tutto, ma per poterlo vivere bene occorre conoscere le sue qualità che emergono dal Vangelo e dalla Scrittura in genere e che si può riassumere in alcuni aspetti fondamentali.

Per prima cosa Gesù, che e morto per tutti, amando tutti, ci insegna che il vero amore va indirizzato a tutti. Non come l'amore che viviamo noi tante volte, semplicemente umano, che ha un raggio ristretto: la famiglia, gli amici, i vicini... L'amore vero che Gesù vuole non ammette discriminazioni non distingue tanto la persona simpatica dall'antipatica, non c'è per esso il bello, il brutto, il grande o il piccolo; per questo amore non c'è quello della mia patria o lo straniero, quello della mia Chiesa o di un'altra, della mia religione o di un'altra. E così dobbiamo fare noi: AMARE TUTTI.

L'amore vero, ancora, AMARE PER PRIMO, non aspetta di essere amato, come in genere è dell'amore umano: si ama chi ci ama. No, l'amore vero prende l'iniziativa, come ha fatto il Padre quando, essendo noi ancora peccatori, quindi non amanti, ha mandato il Figlio per salvarci. Quindi amare tutti e amare per primi.

E ancora: l'amore vero VEDE GESÙ IN OGNI PROSSIMO: "L'hai fatto a me" (Mt 25,40) ci dirà Gesù al giudizio finale. E ciò vale per il bene che facciamo e anche per il male purtroppo.

L'amore vero AMA l'amico e anche IL NEMICO: gli fa del bene, prega per lui. Altrimenti non dobbiamo più dire il Padre Nostro perché saremo ipocriti: "e rimetti a noi i nostri debiti come noi rimettiamo ai nostri debitori."

Gesù vuole anche che l'amore, che egli ha portato sulla terra, diventi RECIPROCO: che l'uno ami l'altro e viceversa, sì da arrivare all'unita.

L'amore vero AMA L’ALTRO “COME” SE STESSO. E ciò va preso alla lettera: occorre proprio vedere nell'altro un altro se e fare all'altro quello che si farebbe a se stessi.

L'amore vero è quello che sa soffrire con chi soffre, godere con chi gode, portare i pesi altrui, che sa, come dice Paolo, FARSI UNO con la persona amata (1Cor 9,19-22). È un amore, quindi, non solo di sentimento, o di belle parole, ma di fatti concreti.

Chi ha un altro credo religioso cerca pure di fare così per la cosiddetta "REGOLA D’ORO” che ritroviamo in tutte le religioni. Essa vuole che si faccia agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi. Gandhi la spiega in modo molto semplice ed efficace: "Non posso farti del male senza ferirmi io stesso" (Cf. Wilhelm Muhs, "Parole del cuore", Milano 1996, p. 82).

Naturalmente, l’amore cristiano NON DOMINA SUGLI ALTRI. Gesù ha detto agli apostoli di non dominare su gli altri “come fanno i capi delle nazioni e i grandi” (Mt. 20,25-28; Lc. 22,26). Gesù, mite e umile di cuore (Mt. 11,29), è venuto per servire (Mt. 20:28). Se non c’è quest’abitudine del responsabile di perdere e di umiltà e di staccarsi dai propri interessi, non c’è Gesù in mezzo, ma invece c’è il responsabile in mezzo e nient’altro. Questo tipo di mancanza d’amore, con uno spirito di trionfalismo, clericalismo o giuridicismo, è la causa dell’allontanamento di tante persone dalle comunità cristiane. “La vera grandezza cristiana, infatti, non consiste nel dominare, ma nel servire” (Benedetto XVI; 24-11-07). “Non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà” (Benedetto XVI; 16-01-08).

Il Segreto dei Cristiani
Non è facile ad amare nel modo sopranaturale, nel modo cristiano. Per ognuno dei cristiani, che compiono la traversata della vita, prima o poi arriva il momento della paura. Forse anche tu qualche volta ti sarai trovato con il cuore in tempesta; forse ti sei sentito portato, da un vento contrario, nella direzione opposta a quella verso la quale volevi andare; hai avuto timore che la tua vita o quella della tua famiglia facesse naufragio.

Chi non passa attraverso la prova? Essa assume i volti del fallimento, della povertà, della depressione, del dubbio, della tentazione... A volte ciò che ci fa più male è il dolore di chi ci sta accanto: un figlio drogato o incapace di trovare la sua strada, il marito alcolista o senza lavoro, la separazione o il divorzio di persone care, i genitori anziani ed ammalati... Fa paura anche la società materialista e individualista che ci circonda, con le guerre, le violenze, le ingiustizie... Davanti a queste situazioni può insinuarsi anche il dubbio: l’amore di Dio dov’è finito? è stato tutto un’illusione? è un fantasma?

Non c'è niente di più terribile che sentirsi soli nel momento della prova. Quando non c'è nessuno con cui poter condividere il dolore, o che sia capace di aiutarci a risolvere le situazioni difficili; ogni sofferenza ci appare insopportabile. Gesù lo sa, per questo appare sul nostro mare in tempesta, ci viene accanto e ci ripete nuovamente: "Coraggio, sono io, non abbiate paura" (Mt 14,27).

Sono io, sembra dirci, in quella tua paura: Gesù dice: anch'io sulla croce, quando ho gridato il mio abbandono, sono stato invaso dalla paura che il Padre mi avesse abbandonato. Sono io in quel tuo scoraggiamento: là sulla croce anch'io ho avuto l'impressione che mi mancasse il conforto del Padre. Siamo disorientati? Lo ero anch'io, al punto che ho gridato "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato" (Mt 27,46; Mc 15,34; Ps 22,1). E quando ci sorprende la delusione o siamo feriti da un trauma, o da una disgrazia imprevista, o da una malattia o da una situazione assurda, possiamo sempre ricordare il dolore di Gesù abbandonato che tutte queste prove e mille altre ancora ha impersonato lui. In ogni nostra difficoltà egli ci è accanto, pronto a condividere con noi ogni dolore.

Gesù è entrato veramente in ogni dolore, ha preso su di se ogni nostra prova, si è identificato con ognuno di noi. Egli è sotto tutto ciò che ci fa male, che ci fa paura. Ogni circostanza dolorosa, spaventosa, è un suo volto. Lui è l'Amore ed è dell'amore cacciare ogni timore.

Ogni volta che ci assale una paura, che siamo soffocati da un dolore, possiamo riconoscere la realtà vera che vi è nascosta: è Gesù che si fa presente nella nostra vita, è uno dei tanti volti con cui si manifesta. Chiamiamolo per nome: sei tu, Gesù abbandonato-dubbio; sei tu, Gesù abbandonato-tradito; sei tu, Gesù abbandonato-malato, sei tu Gesù Abbandonato-solitudine, sei tu Gesù Abbandonato-ferita, sei tu Gesù Abbandonato-prova, sei tu Gesù Abbandonato-desolazione e così via. E chiamandolo per nome, egli si vedrà scoperto e riconosciuto sotto ogni dolore e ci risponderà con più amore. Se così faremo, andando al di là della piaga di ogni dolore, potremo sperimentare un effetto insolito e insperato: la nostra anima è pervasa di pace, di amore, anche di gioia pura, di luce. Potremo trovare in noi una forza nuova. Questo ci dirà come, abbracciando le croci di ogni giorno e unendoci per esse a Gesù crocifisso e abbandonato, possiamo partecipare già da quaggiù alla sua vita di Risorto.

Facciamolo allora salire sulla nostra "barca", accogliamolo, lasciamolo entrare nella nostra vita. E poi continuiamo a vivere quanto Dio vuole da noi nel momento presente, buttandoci ad amare il prossimo. Scopriremo che Gesù è sempre Amore. Potremo così dirgli, come i discepoli: "Tu sei veramente il Figlio di Dio!" (Mt 14,33)

Abbracciandolo diverrà per noi la nostra pace, il nostro conforto, il coraggio, l'equilibrio, la salute, la vittoria. Sarà la spiegazione di tutto e la soluzione di tutto!

Conclusione
Questo modo di amare, queste belle parole sopraddette, se non sono vissute, non valgono niente! Senza questo amore sopranaturale, vissuto reciprocamente, non valgono niente tutti gli incontri, programmi, iniziative o documenti della parrocchia o della diocesi o dei Nazioni Uniti. E allora come possiamo portare questo fuoco d’amore reciproco per avere questa presenza speciale ed efficace di Gesù fra noi nelle parrocchie? La vita primitiva della Chiesa era una vita vissuta con un grande fuoco d’amore reciproco con pochissime cose scritte. Era tutta vita con poche parole. Oggi abbiamo tante cose scritte e parlate ma poca vita! Qualcuno nella parrocchia o in qualsiasi luogo deve cominciare ad amare per primo come è spiegato sopra. Prima o poi, qualcuno risponderà a quest’amore e comincerà ad amare nello stesso modo. A questo punto nasce Gesù in mezzo, e Gesù comincia a lavorare e generare vita nella parrocchia. Pian piano altri saranno convertiti da questa presenza efficace di Gesù. Il fuoco d’amore si dilaga come scrive San Giovanni Crisostomo nella lettura patristica (#5) del libro delle preghiere del Sinodo. E così da questo fuoco d’amore fra alcuni che frequentano la parrocchia regolarmente o no, si comincia di attirare, in un modo naturale e silenzioso, altri persone di buona volontà che frequentano e che non frequentano la parrocchia regolarmente. E così via.

Queste parole sono dunque un richiamo pressante, specie per noi cristiani, a testimoniare con l'amore la presenza di Dio. "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Il comandamento nuovo (Gv 13,34) così vissuto pone le premesse perché si attui la presenza di Gesù fra gli uomini. Nulla possiamo fare se questa presenza non è garantita, presenza che dà senso alla fraternità soprannaturale che Gesù ha portato sulla terra per tutta l'umanità. Ma spetta soprattutto a noi, cristiani, pur appartenendo a diverse comunità ecclesiali, di dare al mondo spettacolo di un solo popolo fatto di ogni etnia, razza e cultura, di grandi e di piccoli, di malati e di sani. Un unico popolo del quale si possa dire, come dei primi cristiani: "Guarda come si amano e sono pronti a dare la vita l'uno per l'altro". È questo il "miracolo" che l'umanità attende per poter sperare ancora e un contributo necessario al progresso ecumenico, al cammino verso l'unità piena e visibile dei cristiani. È un "miracolo" alla nostra portata, o meglio, di Colui che, abitando fra i suoi uniti dall'amore, può cambiare le sorti del mondo, portando l'umanità intera verso l'unità.

San Gregorio Magno, papa, ha scritto: “Il Signore manda i discepoli a due a due a predicare per indicarci tacitamente che non deve assolutamente assumersi il compito di predicare chi non ha la carità verso gli altri” (Breviario; 18 ottobre). San Francesco d’Assisi ha mandato i suoi discepoli a predicare e ad evangelizzare, ma li ha detto di predicare con la bocca soltanto se sia assolutamente necessario!

Tutte queste cose sono soltanto belle parole se non c’è qualcuno nella parrocchia o in qualsiasi posto che ama come Gesù ama. Ognuno di noi dobbiamo fare la nostra piccola parte senza scoraggiarci da ciò che vediamo nel mondo di oggi. Qualcuno deve iniziare questo fuoco d’amore, questa nuova vita, questa rivoluzione, in concreto, non soltanto con belle parole com’è, purtroppo, questa proposta!

Rev. Joseph Dwight